mercoledì 22 luglio 2009

MARILLION - Afraid of Sunlight (1995)

Voto ☻☻☻

Quasi a sorpresa dopo poco più di un anno da Brave esce coraggiosamente Afraid of Sunlight. LA genesi del disco è stata molto più tranquilla rispetto al complesso predecessore.
Brave non aveva ottenuto il successo sperato e la EMI reclamava per coprire unpo' le perdite derivate dalla produzione del disco. Ecco che i cinque si mettono all'opera e confezionano un album fresco, molto piacevole, non soffocante. Otto brani ben congegnati. Una prima parte più leggera con la bella e zeppeliniana Gazpacho ad aprire le danze, proseguendo con la scialba ma divertita Cannibal surf babe, con il dolcissimo singolo Beautiful (per me dalle grandi potenzialità non sfruttate) e chiudendo la prima parte con la spettrale Afraid of Sunrise.
Se qualcuno ha storto il naso per una prima parte a momenti un po' alterni, sono stati davvero pochi quelli che si sono lamentati della seconda parte. Out of this world riporta i Marillion a momenti di drammaticità rintracciabili in Brave, ma con distensioni di atmosfera che riportano a Season's end e pure a Fugazi per un certo tocco gotico. La title track è un capolavoro e definisce perfettamente il nuovo corso dei Marillion. Una melodia vocale perfetta si appogia su un delicato accompagnamento di piano, con una ritmica che delicatamente si fa più presente fino a diventare imperiosa nel suo incedere. La canzone si chiude poi con dolcezza lasciando un gusto dolceamaro. Beyond you è fra i brani più sottovalutati del repertorio. Proposta in mono per ricordare il famoso suono ala Phil Spector, Beyond you è costruita su due sezioni dove le tastiere creano un lento crescendo sul quale la voce di Steve Hogarth fa davvero i miracoli. La canzone conclusiva King mostra gli artigli di MR. Rothery e lo fa davvero con energia, il tutto contrappuntato da begli effetti di sintetizzatore di Kelly.
Insomma un gran bel disco, l'ultimo per la EMI, il preferito di Steve Hogarth.
A distanza di quattordici anni è fra gli album che si riascoltano con maggior piacere.
Da assaporare in una serata di agosto, al tramonto.

lunedì 13 luglio 2009

MARILLION - Brave (1994)


Voto ☻☻☻

L'ascolto di Brave è un lento inabissarsi nell'incubo disegnato dai testi di Steve Hogarth. Una storia cupa, attuale, psichedelica, drammatica, molto british. I Marillion con questo disco ricoprono il lato drammatico della loro musica abbandonato dai tempi di Clutching at Straws.
L'approccio al disco non è però dei più facili. I 71 minuti ininterrotti di musica, pur non così lineari come Misplaced Childhood o A Passion Play per intenderci, risultano molto densi, a tratti faticosi.
La prima mezz'ora è però ottimamente costruita e i brani sono splendidi: l'avvolgente Bridge immerge lentamente l'ascoltatore nei pensieri della protagonista ormai "on the verge of suicide". Gli armonici di Living with the big lie sono ormai un marchio di fabbrica indelebile di Mr. Rothery, grande protagonista del disco insieme all'altro Steve. La canzone molto cupa in perfetto stile floydiano di epoca Animals confluisce nella straziata Runaway, un altro gioiellino. Goodbye to all that è un insieme di framenti, di intuizioni tese a formare una splendida minisuite di dodici minuti. Dall'inizio schizzato e psichedelico passando per la pausa centrale fino allo scoppiettante finale di memoria fishiana. Il momento migliore si concude con l'energica Hard as love: sei minuti fantastici dove l'hard rock viscerale si incontra con la disillusione di Warm wet circle. Bellissimo.
La parte centrale dell'album composta da Hollow men, Alone in the lap of luxury e Paper lies fa registrare una flessione qualitativa anche se rimaniamo pur sempre su buoni livelli. Hollow men è troppo, troppo sdolcinata e melensa. Alone again ricicla il giro armonico di The Last Straw ma con meno energia, pur rimanendo piacevole. Paper lies risveglia l'ambiente anche se la prima parte è un po' zoppicante, non perfettamente nelle corde dei Marillion. La mistica title track Brave riporta il disco su livelli d'eccellenza: i tappeti di Mark Kelly regalano brividi e la voce di Steve Hogarth disegna melodie ancestrali mentre il resto della band regala uno stacco centrale carico di tensione che sfocia nel capolavoro massimo The Great Escape. In sei minuti i Marillion riassumono tutte le atmosfere del disco in modo magistrale. Una minisuite in tre parti che può richiamare un po' la struttura di Warm wet circle anche se più basata sul pianoforte. Il finale Falling from the moon è di un romanticismo fine e sofferto e l'assolo finale di Rothery è assolutamente sublime. La perfezione. Ecco che la conclusione di Made again, dopo cotanto brano, risulta un po' sottotono. Un bel brano acustico, rilassante, che giunge però quando la tensione si è allentata, quando la storia ha ormai detto tutto.
Brave può essere definito come il primo vero album dei nuovi Marillion post Fish. Con questo disco creano un loro nuovo stile musicale, più asciutto, con meno fronzoli, viene sempre di più usato il pianoforte, si ricoprono gli organi, la chitarra di Rothery assume distorsioni più personali.
Insomma un sound personalissimo che li accompagnerà per molti album a venire, e le cui influenze non si sono esaurite neppure negli ultimi dischi degli anni duemila.