martedì 30 giugno 2009

Marillion - Holidays in Eden (1991)


Voto ☻☻½


Non è stato facile convivere con Holidays in Eden. Da un lato la tendenza a evidenziarne gli elementi positivi (ce ne sono) dall'altro l'innegabile evidenza di una commercializzazione di fondo della musica.
Ciò nonostante il disco, anche riascoltato oggi, risulta piacevole, molto estivo, leggero.
La produzione è la maggior responsabile di questa svolta pop. Suoni molto leggeri, cristallini, poco graffianti. Dryland, Cover My eyes, Waiting to happen, No one can sono quattro brani pop-rock affatto brutti. Bei ritornelli e arrangiamenti azzeccati. The Party sa un po' di incompiuta ma ha un Ian Mosley in grande spolvero. This Town risulta un po' troppo semplificata rispetto alla versione inserita nel DVD From Stoke Row to Ipanema però dal vivo scalderà parecchio gli animi. Ci sono però due capolavori indiscussi: la conclusiva 100 nights davvero splendida e variegata e l'iniziale Splintering Heart, degna dei fasti passati, con i due Steve in grande evidenza.
In definitiva un album piacevole ma un esperimento riuscito a metà. L'animo dei Marillion risiede nel dramma, nel pathos, nella sofferenza, nei chiaroscuri, tutti elementi che si ritroveranno alla grande nell'album successivo tre anni più tardi.

giovedì 18 giugno 2009

MARILLION - SEASONS END (1989)


Voto
☻☻☻☻

I rischi non erano alti...erano altissimi.
Con le dovute proporzioni sostituire un cantante/personaggio come Fish, riportava alla memoria la dipartita di Peter Gabriel dai Genesis. Se i Genesis ebbero enorme fortuna nel trovare all'interno della band un validissimo sostituto, i Marillion dovettero percorrere le consuete strade: conoscenze, nastri e cassette di cantanti poco noti. Il prescelto fu Steve Hogarth. Un perfetto signor nessuno. La prima immagine di Steve ceh vidi fu pubblicata su Paperlate.
Non so perchè ma il tipo mi ispirava fiducia. Non troppo alto, scuro di capelli, sguardo serio. Sempre gli amici di Paperlate riuscirono a entrare in possesso di una cassettina con il nuovo album registrato quasi per intero (mancava the Space). La prima impressione fu di stupore. I pezzi erano davvero belli. Se King of Sunset Town introduceva al disco con sonorità prima avvolgenti, con un crescendo di tastiere da brivido, e poi con sferzate di chitarra sempre più decise era proprio la voce di Steve a primeggiare. Bella, piena, decisa, potente e dolce alla bisogna. Un impatto travolgente. Easter (dal vivo oggi la sopporto poco devo ammettere, troppo sfruttata dalla band, ma in studio rimane un gran bel brano) presentava ai fan sonorità nuove; una chitarra acustica così in primo piano i Marillion non l'avevano mai usata. In 6 minuti Easter presenta 3 atmosfere diverse: la prima narrativa, dolce e malinconica, poi il momento drammatico dello splendido solo di Rothery e quindi il finale agrodolce con bellissimi cori e calde tastiere. Nei primi due brani già si capiva il nuovo corso dei Marillion: chitarre a menare le danze là dove prima il moog e i synth intessevano riff e melodie. Le tastiere non sono affatto scomparse però: i caldissimi tappeti dell'album diventeranno un marchio di fabbrica per MArk Kelly che sempre di più nel corso degli anni si specializzerà in arrangiamenti e in creazione di atmosfere molto fini e raffinate come possiamo sentire negli ultimi lavori della band.
Tornando al disco possiamo dire che Seasons end racchiude alcune canzoni davvero splendide oltre alle due apripista. La title track (fra i brani più tristi e intensi che abbia mai ascoltato), Berlin (una vera minisuite in sette minuti e mezzo) e la conclusiva The Space (parte da White Russian e arriva a Diary of a Madman di Ozzy) rappresentano quanto di meglio i Marillion hanno prodotto senza Fish. Altri brani fungono da allegerimento ma senza scadere nel troppo facile: The Uninvited Guest è molto divertente e con un testo molto sagace, il singolo Hooks in you è energia e divertimento puri mentre Holloway Girl sa un po' di incompiuta.
La cigliegina sulla torta è rappresentata dalle B sides, da sempre scelti con grande cura dalla band: After me (retro di Hooks in you) è un gioiellino che inizia acustico e poi si trasforma in un trascinante finale elettrico, The Release (retro di Easter) possiede un'atmosfera estiva molto solare, divertita, The Bell in the Sea (retro di The Uninvited Guest) è infine un capolavoro da aggiungere ai tre capolavori presenti sul'album: dannatamente inglese.
In conclusione un gran bel lavoro di fine anni ottanta che divise, per forza di cose, i vecchi fan.

mercoledì 10 giugno 2009

Marillion - The Thieving Magpie (1988)

Voto ☻☻☻☻

La malinconia è il sentimento che più di ogni altro ci attanagliava durante l'ascolto di questo doppio vinile. Forse per questo non è stato valutato per quello che in realtà era, ossia un bellissimo album live. Un documento. Oggi, con un pizzico di nostalgia più che malinconia, possiamo esaminarlo con cura, assaporandone ogni risvolto.
I Marillion preferirono scegliere brani da diverse annate. Si va dal tour di Fugazi, con splendide versioni di He Knows you know, Chelsay Monday, Script, Jigsaw, Punch and Judi e Fugazi, al divertentissimo Welcome to the garden party tour del 1986, con l'intero Mislaced Childhood (sulla versione LP veniva riportata solo la prima parte) più Freaks, fino all'ultimo tour 1987/88 con i brani di Clutching at Straws: una versione definitiva di Slainte Math, White Russians, Sugar Mice e Incommunicado. Un album clamoroso, affascinante, caldo, avvolgente, esaltante cantato, suonato e riegstrato a meraviglia.
Il suggello a un'epoca, quella del new-Prog, definitivamente conclusa. I folletti, le sentinelle e i giullari erano tornati nel loro mondo fatato. Questo disco rimane però una chiave, polverosa e consumata, in grado di aprire uno scrigno di ricordi bellissimi e indimenticabili.