giovedì 18 giugno 2009

MARILLION - SEASONS END (1989)


Voto
☻☻☻☻

I rischi non erano alti...erano altissimi.
Con le dovute proporzioni sostituire un cantante/personaggio come Fish, riportava alla memoria la dipartita di Peter Gabriel dai Genesis. Se i Genesis ebbero enorme fortuna nel trovare all'interno della band un validissimo sostituto, i Marillion dovettero percorrere le consuete strade: conoscenze, nastri e cassette di cantanti poco noti. Il prescelto fu Steve Hogarth. Un perfetto signor nessuno. La prima immagine di Steve ceh vidi fu pubblicata su Paperlate.
Non so perchè ma il tipo mi ispirava fiducia. Non troppo alto, scuro di capelli, sguardo serio. Sempre gli amici di Paperlate riuscirono a entrare in possesso di una cassettina con il nuovo album registrato quasi per intero (mancava the Space). La prima impressione fu di stupore. I pezzi erano davvero belli. Se King of Sunset Town introduceva al disco con sonorità prima avvolgenti, con un crescendo di tastiere da brivido, e poi con sferzate di chitarra sempre più decise era proprio la voce di Steve a primeggiare. Bella, piena, decisa, potente e dolce alla bisogna. Un impatto travolgente. Easter (dal vivo oggi la sopporto poco devo ammettere, troppo sfruttata dalla band, ma in studio rimane un gran bel brano) presentava ai fan sonorità nuove; una chitarra acustica così in primo piano i Marillion non l'avevano mai usata. In 6 minuti Easter presenta 3 atmosfere diverse: la prima narrativa, dolce e malinconica, poi il momento drammatico dello splendido solo di Rothery e quindi il finale agrodolce con bellissimi cori e calde tastiere. Nei primi due brani già si capiva il nuovo corso dei Marillion: chitarre a menare le danze là dove prima il moog e i synth intessevano riff e melodie. Le tastiere non sono affatto scomparse però: i caldissimi tappeti dell'album diventeranno un marchio di fabbrica per MArk Kelly che sempre di più nel corso degli anni si specializzerà in arrangiamenti e in creazione di atmosfere molto fini e raffinate come possiamo sentire negli ultimi lavori della band.
Tornando al disco possiamo dire che Seasons end racchiude alcune canzoni davvero splendide oltre alle due apripista. La title track (fra i brani più tristi e intensi che abbia mai ascoltato), Berlin (una vera minisuite in sette minuti e mezzo) e la conclusiva The Space (parte da White Russian e arriva a Diary of a Madman di Ozzy) rappresentano quanto di meglio i Marillion hanno prodotto senza Fish. Altri brani fungono da allegerimento ma senza scadere nel troppo facile: The Uninvited Guest è molto divertente e con un testo molto sagace, il singolo Hooks in you è energia e divertimento puri mentre Holloway Girl sa un po' di incompiuta.
La cigliegina sulla torta è rappresentata dalle B sides, da sempre scelti con grande cura dalla band: After me (retro di Hooks in you) è un gioiellino che inizia acustico e poi si trasforma in un trascinante finale elettrico, The Release (retro di Easter) possiede un'atmosfera estiva molto solare, divertita, The Bell in the Sea (retro di The Uninvited Guest) è infine un capolavoro da aggiungere ai tre capolavori presenti sul'album: dannatamente inglese.
In conclusione un gran bel lavoro di fine anni ottanta che divise, per forza di cose, i vecchi fan.

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